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ELETTRA, I LIBRI CHE PARLANO DEI PAPÀ: INTERVISTA A ELOISA MORRA

intervista eloisa morra effequ

di Clotilde Manno

Nata da poco, Elettra è la nuova serie antologica lanciata dalla casa editrice Effequ che affronta il tema dei padri nel mondo della letteratura. Le curatrici, Olga Campofreda ed Eloisa Morra, da sempre attente a temi sociali e generazionali, oltre che autrici a loro volta, si cimentano nella coordinazione di un progetto che ora, con l’uscita del quinto episodio, sembra assumere contorni definiti.

Il mito di Elettra ha dato vita e ispirazione già a cinque long form della serie, in cui, come spiegherà Eloisa Morra, diverse autrici italiane raccontano di rapporti padri-figlie in brevissimi ma speciali libricini. Sinora sono usciti L’olivastro (Marta Zura Puntaroni), Bestiario parentale (Francesca Manfredi), Scintille (Francesca Scotti), Quella è la porta (Giusi Marchetta) e a breve uscirà Ragazza senza nome di Alessandra Sarchi. Decisamente riconoscibili per la loro vincente veste grafica, gli Elettra si stanno facendo pian piano riconoscere nel panorama editoriale italiano, grazie al lavoro della casa editrice che storicamente si ripropone “lo scopo di fornire una visione attenta ma non oscura della contemporaneità in tutte le sue sfaccettature”.

eloisa morra Eloisa Morra, curatrice della serie antologica Elettra

Come dove e quando nasce l’idea di Elettra e da chi parte? E perché proprio con un editore come Effequ?

L’idea nasce tre anni e mezzo fa da un dialogo iniziato a distanza (io a Toronto, lei a Londra) tra me e Olga. Ci siamo conosciute per ricerca e si è subito creata una bella energia, ho pensato fosse la persona adatta con cui sviluppare un progetto a partire da un’idea che mi ronzava in testa da un po’: Che fine hanno fatto i padri? Lo spunto di riportare l’attenzione sul rapporto col paterno – in senso ampio, non a caso la radice linguistica si riflette in tante ramificazioni: padre, padrone, padrino, santo padre, padre spirituale… – è nato sia riflettendo sugli effetti del #metoo, in cui le ragazze sembravano aver acquisito una nuova consapevolezza del loro ruolo di genere, sia dai tanti testi in cui da lettrici ci era capitato di imbatterci.

Tra il 2017 e il 2021 sono stati parecchi i romanzi in cui autrici della nostra generazione o iniziavano un’indagine sulla figura paterna, spesso sfuggente, o tessevano storie in cui i padri apparivano di sguincio, portatori di potenzialità narrative inespresse. Quale che sia il rapporto specifico, come spieghiamo nella prefazione, “scrivere del proprio genitore è un’operazione ambigua: significa da un lato ritrovarlo, dall’altro individuare un nodo che spesso viene sciolto con dolore e consapevolezza”. Si tratta di attraversare il mito di Elettra mettendolo al contempo in discussione. Abbiamo iniziato quindi a fare una lista di autrici di diverse generazioni (il dialogo intergenerazionale ci è sembrato via via sempre più necessario) e abbiamo chiesto a ciascuna di interrogare in modo nuovo la figura paterna e l’eredità che porta con sé. Tra i primi editori che ci sono venuti in mente c’è stato Effequ, proprio in virtù dell’interesse sempre dimostrato verso le questioni di genere; subito ci siamo rese conto che la scelta era quella giusta, il progetto infatti è stato accolto con entusiasmo (grazie, di nuovo, a Silvia Costantino e Francesco Quatraro).

Vi siete ispirate, quindi, a ciò che conoscevate e a dei testi in particolare?

Una lettura che ha orientato il progetto a livello teorico è stato il saggio di Katherine Angel, Bella di papà, uscito per Blackie nella traduzione di Veronica Raimo e Alice Spano. Tematizzava un po’ uno spostamento dal classico mito di Elettra, in cui è la figlia a essere “innamorata” del proprio genitore, a padri che venivano rappresentati come amanti delusi, non più oggetto d’ammirazione. Le figlie – che avevano tratto finalmente consapevolezza del loro ruolo, complici le conquiste del femminismo – si allontanavano, loro si sentivano messi un po’ in un angolo.

Tra le molte, Angel fa un’analisi significativa del film Il padre della sposa, che abbiamo visto tutti negli anni Novanta (un remake di un film anni Cinquanta, non a caso); riguardato con gli occhi di oggi, quel George Banks ossessionato dall’idea che la figlia Annie si faccia una vita propria, non essendo più da tempo “la sua bambina”, ci pare un filino patologico. Il complesso di Elettra agisce anche al contrario, e dimostra quanto sia positivo per entrambe le parti liberarsi di certi fardelli patriarcali che hanno favorito il costruirsi di una maschilità stereotipata che ingabbia prima di tutto gli uomini… Bisognava liberare i vari Mr. Banks!

Perché scegliere la forma del racconto breve?

È molto duttile, si adatta naturalmente ai bisogni della contemporaneità. Questo progetto – volto a cogliere uno spirito del tempo, qualcosa che è dappertutto ma al contempo impalpabile – non poteva che prendere la forma di un’antologia diffusa. In questo modo si potevano pubblicare racconti separati ma uniti da un fil rouge, una sorta di serie, come episodi di una stagione Netflix. E in un certo senso, ciascuno dei long form è una piccola tessera di un mosaico che rappresenta il paterno… Da curatrici, ci siamo divertite molto anche a costruire un’alternanza di toni, e un’oscillazione voluta tra fiction e non-fiction. A livello editoriale, l’intento è stato realizzare un progetto sfaccettato ma che avesse al contempo un termine, così da mantenere alta la qualità delle uscite. Una volta messo a punto il formato abbiamo scritto alle autrici, ed è iniziato un dialogo molto intenso, con noi ma anche tra di loro.

In che modo avete selezionato le autrici rispetto anche al discorso transgenerazionale?

L’idea si è ampliata via via attraverso il dialogo tra noi curatrici e gli editori. All’inizio avevamo pensato di concentrarci solo su autrici millennial – percepivamo per esperienza una frattura nel considerare il mondo dei padri e il patriarcato – ma poi ci siamo dette: perché non ampliare? La selezione è avvenuta in modo molto naturale. Sono voci che ci hanno colpito per la qualità della prosa e che al contempo ci sembrava potessero avere molto da dire sul tema. In alcuni casi i precedenti lavori mettevano al centro temi e ambientazioni che ci avevano colpito (come per i romanzi di Marta Zura-Puntaroni), o intercettavano padri assenti che nascondevano potenzialità narrative (Francesca Manfredi, Francesca Scotti).

Ci sono autrici poi, come Giusi Marchetta e Alessandra Sarchi, che avevano già avviato riscritture in chiave femminista di personaggi della letteratura e della cultura visuale. In qualche caso abbiamo lanciato alle autrici delle sfide poi vinte: confrontarsi col racconto per chi ne aveva scritti pochissimi, intraprendere la strada della non-fiction per chi era in primis romanziera.

Come è andato l’editing?

È un lavoro collettivo che ci appassiona molto. Di solito leggiamo singolarmente e ci facciamo le nostre idee, ma poi mettiamo tutto in un file condiviso su cui facciamo l’editing vero e proprio, arrivando a armonizzare i nostri suggerimenti (non nascondo che a volte avevamo idee anche molto diverse!). È stato anche per noi una bella palestra, come autrici e curatrici, lavorare di fino su questi testi e discuterne passo passo con Silvia e Francesco, prima di proporre l’editing alle autrici. Ovviamente le scrittrici erano libere di accettare o meno i suggerimenti di tagli e modifiche, ma questo processo è stato utile anche per loro, per inquadrare meglio il lavoro fatto. È importante anche il vincolo dei caratteri, la grande sfida è confrontarsi con la brevità… tutti i testi proposti sono stati in grado di racchiudere tutta una serie di fili narrativi in poco spazio.

Alla fine, in effetti, il lavoro di editing è sempre amore-odio.

Assolutamente! Non sono mancate riunioni in cui abbiamo riletto ad alta voce i racconti con gli editori per cercare di armonizzare le diverse idee che avevamo sulla risoluzione di certi passaggi o su qualche finale. Essendo grandi professioniste le autrici sono state molto aperte, in alcuni casi ci hanno anche ringraziato per gli interventi che abbiamo proposto. Siamo state molto contente, e devo dire si percepisce sempre, a ogni uscita, una certa emozione collettiva nel mandare il definitivo in stampa!

E come pensi che sia stata recepita dall’esterno la serie?

Finora mi sembra sia stata ben recepita, la abbiamo presentata in anteprima a Testo e poi portata in tutta una serie di eventi e festival in giro per l’Italia. Una cosa che mi ha sorpreso positivamente è stato il coinvolgimento degli adolescenti, abbiamo fatto sia incontri nelle scuole che con diverse associazioni culturali, intavolando discussioni piuttosto partecipate. Hanno suscitato interesse, per esempio, i libri di Francesca Manfredi e Francesca Scotti, Bestiario parentale e Scintille, con figure di adolescenti in trasformazione e padri in silhouette. Non me lo aspettavo, perché ho associato il progetto più a un pubblico millennial, invece sta ricevendo un’attenzione molto più varia. Speriamo che continui così. Mi piace sempre ricordare che – anche se Elettra è un progetto a parte – abbiamo intercettato l’interesse dell’ambiente editoriale; ci sono tanti editori che stanno rivolgendo la loro attenzione alla forma breve, e tante autrici che ci hanno scritto per proporre idee per futuri testi.

È anche vincente l’idea della copertina con un disegno che è sempre lo stesso e per ogni testo cambia colore. Come ci avete pensato?

È stata una folgorazione anche per noi. Eravamo alla ricerca di un illustratore o un’illustratrice, attraverso internet ci siamo imbattute nei lavori di Carla Indipendente e l’abbiamo contattata immediatamente perché il suo segno ci è sembrato cogliesse l’essenza del progetto. Lei ha subito accettato. E la bellissima immagine di questa Elettra che si scioglie la treccia, incarnando la metafora del nodo che viene sciolto, è arrivata quasi subito; è stata una delle prime che ci ha mandato, con qualche piccolo aggiustamento e variante, ma abbiamo subito detto: questa è lei.

E poi ci è venuta l’idea, che spero sia vincente, di lasciare sempre la stessa immagine. L’intento è dire: collezionate questi libricini! Un’idea di fidelizzazione. Quasi come si dovesse scegliere insieme al lettore la sfumatura da dare di volta in volta alla storia.

Volevo chiederti un’anticipazione, infine, sul prossimo Elettra.

Ragazza senza nome di Alessandra Sarchi è un conte philosophique contemporaneo in tre parti che aggiunge ulteriori livelli di complessità al progetto sia in termini di genere letterario sia a livello tematico. Rappresenta una svolta ulteriore rispetto a altri testi, portandoci a riflettere su come l’immagine di un paterno “sufficientemente buono” vada ricercata non per forza nella figura del padre biologico, ma anzi può essere più felicemente trovata in una famiglia direi di elezione. Magari in maestri o maestre, come succede in parte anche alla protagonista del racconto… Ma ho già detto troppo, quindi mi fermo qua.

In conclusione, cosa, si può dire, Elettra ti ha lasciato o ha iniziato a lasciarti?

Un senso di gratitudine per la libertà di scelta che mi ha trasmesso mio padre (si può curare un progetto del genere solo se si ha o è avuto un rapporto magari non sempre perfetto ma sano, partecipato), e la consapevolezza che l’unione fa la forza. Elettra coglie cambiamenti che sono ancora in atto, un’evoluzione in progress del rapporto col paterno e, di riflesso, con l’autorità. Padri silenziosi, ironici, assenti, istrionici, giocosi, nevrotici, dominanti, succubi… Ogni padre di questi racconti è diverso. Non saremmo riuscite da sole a rendere la ricchezza di tante sfumature, ci sono volute tante voci di autrici (e di lettori) per comporre un progetto che è ben più della somma delle singole parti.

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