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“Da quel momento è come se si fosse rotta una diga”: intervista ad Alessia Denaro, scrittrice di libri per l’infanzia.

intervista a alessia denaro
La Scuola del libro intervista Alessia Denaro, autrice dei libri per l’infanzia «Il castello della felicità» e «Il tesoro di Moncalbio», (entrambi editi da Salani), che qualche anno fa ha frequentato il corso «Scrivere per l’infanzia».

Raccontaci del tuo percorso: passioni, letture, studi; come sei arrivata a pubblicare con una delle case editrici più importanti di letteratura per l’infanzia?

Sono stata una lettrice onnivora nella mia infanzia e adolescenza tanto che da ragazzina il mio sogno era fare la scrittrice come Jo March. Poi le cose della vita mi hanno portato a scegliere un altro percorso: ho studiato giurisprudenza, ho fatto l’avvocato in uno studio internazionale occupandomi di finanza strutturata e poi ho lavorato in-house in una grande banca. Dopo venti anni di lavoro tutto sommato felice mi sono accorta che quello che stavo facendo non mi piaceva più, come un amore che finisce. Volevo tornare alle radici, ma dovevo rimettermi a studiare: scrivere pareri e contratti non è la stessa cosa che scrivere racconti o romanzi. Perciò ho cominciato a frequentare dei corsi di scrittura creativa, ho partecipato a concorsi (indetti da varie case editrici, che non vinto) e ho mandato il mio manoscritto in giro per altre case editrici. Poi un mio amico mi ha presentato un agente letterario e lui ha contattato sia Mondadori che Salani. Alla seconda è piaciuto il mio manoscritto che è poi stato pubblicato come Il Castello della felicità.

Quale corso hai frequentato alla Scuola del libro e in cosa ti è stato utile?

Ho frequentato Scrivere per l’Infanzia con Carola Susani e Nadia Terranova. Per me è stato il primo corso di scrittura creativa in assoluto ed è stato fondamentale: Carola e Nadia sono meravigliose scrittrici e meravigliose insegnati che ti prendono per mano e ti accompagnano nella liberazione dai tabù, dalla paura di scrivere, insomma mi hanno sbloccato. Da quel momento è come se si fosse rotta una diga, mi sono sentita sopraffatta dalle idee di storie e vicende che volevo raccontare e ho capito che mi piaceva così tanto scrivere che mi sono ripromessa che se fossi riuscita un giorno a completare un romanzo e a pubblicarlo avrei anche potuto lasciare il mio lavoro da avvocato: cosa che poi ho fatto.

Che cosa ti affascina della letteratura per l’infanzia?

La letteratura per ragazzi è stato il mio primo amore da lettrice e non l’ho mai dimenticato, tanto che ho continuato a leggerla anche da adulta. Quando si chiede alle persone quali sono i libri della vita c’è sempre un libro letto durante l’infanzia o l’adolescenza. L’idea di poter contribuire all’immaginario di una persona in divenire mi affascina molto.

Come suggeriva Bruno Schulz, gli adulti devono tornare a “maturare verso l’infanzia”. Condividi questo pensiero?

In occidente ci sforziamo di accumulare esperienze e conoscenze pensando che aggiungere sia la chiave per la felicità, in oriente per raggiungere lo stesso obiettivo il processo è di solito in levare. Diciamo che le due strade hanno un fine cioè capire cosa conta veramente, e io sono d’accordo con Bruno Schulz nel pensare che per un periodo breve della vita, l’infanzia, noi tutti l’abbiamo saputo.

Credi che uno scrittore o una scrittrice di narrativa per l’infanzia abbia una maggiore responsabilità nei confronti di chi legge? Per esempio, quale messaggio vuoi che venga recepito dai tuoi libri?

Come diceva Natalia Ginzburg la responsabilità di chi scrive è quella di dire la verità. E questo vale, secondo me, sia per la narrativa per adulti sia per quella per l’infanzia. Io provo a dire la mia: qualche cosa che ho capito o che non ho capito per nulla e mi sento di condividere.    
Sicuramente mi piace l’idea di fare da sindacato delle storie poco raccontate: nel mio secondo romanzo, il Tesoro di Moncalbio, edito sempre da Salani, ho voluto inserire delle creature fantastiche che non appartengono all’immaginario anglosassone, ma alle tradizioni popolari italiane, che sono ricchissime ma che nelle moderne narrazioni non vengono rappresentate. E ho voluto raccontare anche l’esperienza delle famiglie allargate, avendola io vissuta in prima persona come terzo genitore o “matrigna”: una storia in cui questa esperienza non è solo traumatica ma anche fonte di gioia e di affetto.  

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