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Il talento. Capacità innata?

articolo

Di Martina Matranga

In un’editoria fluida e sempre più individualista come quella che si presenta nel secolo corrente, nomi e cognomi di gente famosa iniziano a farsi largo e corsi di scrittura modificano negli aspiranti autori e lettori l’idea che esista o possa esistere un concetto di “talento creativo naturale”.

 

2. Ingegno, predisposizione, capacità e doti intellettuali rilevanti, spec. in quanto naturali e intese a particolari attività.

 

Questo è ciò che riporta la Treccani come definizione di talento, tralasciando, com’è giusto che sia, ciò che nell’ideologia moderna esso rappresenta: il fato e la predestinazione. Ma è realmente così? Può un talento determinare una strada da dover perseguire?

Sul web, soprattutto con l’avvento dei nuovi social network che danno a lettori e lettrici la possibilità di dire la loro, non piace e non viene condivisa l’idea di una predestinazione: perché ci si fa da sé ed è affinando le proprie capacità che si ottiene il successo letterario.

 

Afferma Giorgia D’Aversa, autrice pubblicata da Acheron Books, che: “È il contesto socio-economico, nonché socio-culturale privilegiato che favorisce e spinge i giovani ad appassionarsi alla lettura, per poter divenire così scrittori o scrittrici”.

È questa una tesi a cui autori come Charles Dickens, Maxim Gorky o Anton Čhechov, per citarne solo alcuni, non concorderebbero.

La qualità della scrittura e il conseguente talento non è determinabile da una famiglia più o meno agiata, né sicuramente dal numero di libri regalati o di complimenti ricevuti nel corso degli anni da parte delle figure genitoriali; per quanto una spinta familiare possa indirizzare, spesso è la vita stessa e le sfide che quest’ultima pone ogni giorno che hanno formato i grandi scrittori del passato e del presente.

La durezza di lavorare per sopravvivere, di guardare alle crudeltà e alle ingiustizie vissute in età infantile spesso sono la miccia che accende la passione e il talento in un animo già predisposto.

 

Indipendentemente da come lo si voglia chiamare (talento, fato, destino o quel che sia) è oggettivamente innegabile, perché è il testo stesso a parlare, come da parte di alcuni ci sia una naturale predisposizione alla scrittura; perché dotati di una grande vena creativa o di una peculiare e più poetica capacità di osservare il mondo. È a parer mio assolutistico ed errato affermare che: “sarebbe offensivo definire le capacità di un dato autore semplice talento”, perché la verità è che non esiste un corso di scrittura o un insegnante in grado di formare talenti letterari. La fantasia, l’ingegno e la creatività sono qualcosa di trascendentale, che ci portiamo dietro sin dall’età dell’infanzia e che alcuni di noi sono in grado di conservare anche con l’avanzare dell’età, rifugiandosi in essa e sfruttandola per creare opere che vanno al di là della mera stesura.

 

Naturalmente con tali affermazioni non voglio dire che si nasca prodigi della scrittura; una lavorazione dei propri testi e con professionisti del settore amplia i punti di vista e porta alla maturazione anche chi possiede già delle doti latenti, e spesso la sensibilità e l’apertura alle critiche può effettivamente rivelarsi l’elemento distintivo tra un autore destinato o meno al fallimento.

Brandon Sanderson, autore americano di letteratura fantastica, afferma che un autore in grado di accettare i giudizi altrui e porre ulteriori quesiti all’interlocutore per accrescere le proprie capacità è un passo avanti, e lo sarà sempre, rispetto a colui che, convinto delle proprie doti incontestabili, rifiuta di accettare i pensieri dell’altro.

 

L’editoria è un settore dove si impara con la pratica, vivendo e lavorando sui testi, assorbendo da chi è già al suo interno da molti anni e chi invece, fresco di esperienze formative, possiede delle idee capaci di scorgere il lume del cambiamento. Bisogna spesso rimboccarsi le maniche, e di fronte a un manoscritto originale ma mal scritto e uno non originale ma ben scritto si propenderà quasi sempre verso il secondo nel mondo editoriale attuale.

 

Considero più talentuosa una scrittrice che ha assimilato determinate metodologie letterarie dalle sue personali letture o una con un lessico forbito? Oppure un’altra ancora che si è studiata tutti i manuali di scrittura del mondo?

Probabilmente il fulcro di questo dilemma storico ricade nelle diverse definizioni di talento che ognuno possiede e come queste ci siano state raccontate negli anni; molti si pongono a sfavore di una predestinazione innata, io da lettrice credo nel talento che va però distinto in due branche separate ma complementari: la creatività, una dote non insegnabile e spesso essenziale per distinguersi tra la massa, e la scrittura, una capacità che può essere affinata e migliorata fino a renderla il proprio trampolino di lancio verso il successo.

 

Non credo si abbia la possibilità di misurare un pensiero così fortemente soggettivo e variabile, esistendo alla fin fine nella misura in cui: è talento ciò che si vuole ritenere tale.

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