Abbiamo fatto una chiacchierata con i docenti dei corsi di scrittura e di editoria per scoprire qualcosa di più sui loro mestieri, le abitudini e i maestri che li hanno ispirati. E per sapere da loro perché frequentare un corso può essere davvero utile.
Come ti prepari alla scrittura di un libro, di un monologo per il teatro o di una canzone? Dove trovi ispirazione per le tue storie?
Ivan: Di solito per prepararmi a un progetto frequento un corso di scrittura comica. Non lo dico solo perché ne stiamo promuovendo uno, ma perché ormai è un’abitudine: è un’attività stimolante che favorisce la concentrazione. Mi capita di frequentare corsi di scrittura comica anche solo per rilassarmi: mentre sono nel traffico, in fila alle poste, sulla ruota panoramica di un luna park o in cabina elettorale. Mi ispira molto, ma l’ispirazione ha anche altre origini. Sicuramente uno sguardo superficiale sulla realtà, la capacità di non riuscire a comprendere il mondo, è importante. Essere sommersi da notizie, informazioni, eventi senza riuscire ad associarli e a metterli in ordine, per una distrazione di fondo, è un ottimo metodo creativo. Permette di reinventare continuamente la realtà nell’impossibilità di capirla, cercando di colmare i vuoti con l’immaginazione, arrivando a qualcos’altro. Un’altra importante fonte di ispirazione è perdersi in se stessi, come nel dormiveglia: i pensieri iniziano ad associarsi secondo logiche assurde, ma apparentemente verosimili. Quando guardiamo dentro di noi basta che qualcuno ci spinga e precipitiamo, come Alice, nel paese delle meraviglie. Appena smarrita la via ecco che appaiono, quasi da sole, le immagini e le storie. Basta soltanto scrivere con costanza per catturarle tutte. Poi, ad essere sinceri, l’ispirazione si trova un po’ ovunque. Una volta l’ho trovata perfino nel filtro dell’aspirapolvere.
Quali sono i tuoi maestri, i tuoi punti di riferimento?
Ivan: In ambito teatrale su tutti la coppia Rezza/Mastrella e Alessandro Bergonzoni. Musicalmente Lucio Battisti, soprattutto gli ultimi dischi con i testi di Pasquale Panella; poi, in ordine sparso Franco Battiato, Enzo Jannacci, John Coltrane, Piero Ciampi, Faust’O, Charles Mingus, Frank Zappa, Leonard Cohen, Nina Simone. Nella scrittura sicuramente Jorge Luis Borges, Cortazár, Samuel Beckett, Dino Buzzati, Franz Kafka, Achille Campanile, Louis Ferdinand Céline. Per il cinema David Lynch, Marco Ferreri, Ingmar Bergman. Poi voglio bene al Dadaismo, al Surrealismo e all’Oulipo, ai Monthy Python, a Groucho Marx e Antonin Artaud. Molte delle persone elencate sono morte, quindi penso che i loro insegnamenti non vadano seguiti fino in fondo.
La scrittura comica può essere una scrittura destinata alla pagina, e quindi deve funzionare da sola, o una scrittura destinata alla messa in scena (teatro, cinema, tv, podcast, stand up comedy, ecc) e allora da sola non basta. Come cambia l’approccio per questi due tipi di scrittura?
Ivan: È soprattutto una questione di solitudine. Il rapporto con la pagina è intimo, frontale: da una parte tu che scrivi e davanti a te il bianco. Non hai contingenze: pochi limiti, molte possibilità. Puoi creare città immaginarie, castelli in aria, scarafaggi emarginati e fattorie rivoltose utilizzando solo le parole. La messa in scena invece è affollata, coinvolge mezzi e persone. La radio e i podcast ti mettono in rapporto con la voce, che interpreta le parole e può spostarne e capovolgerne il senso. Può esserci perfino un pubblico che reagisce. Scrivere per il cinema vuol dire che tutto diventerà video e prima ancora set, quindi ogni scarafaggio, ogni castello, ogni città, avrà un volume e un costo. Quello che hai scritto forse verrà detto da altre persone, forse invece dopo quattro anni e trentacinque stesure il film non si farà e la sceneggiatura rimarrà sempre lì a ricordartelo. L’approccio nei due tipi in fondo è simile, parte dallo stesso pensiero comico, ma ogni forma ha il suo linguaggio, quindi serve conoscerlo e scegliere i giusti strumenti da mettere in campo.
Che aggettivi useresti per definire la tua comicità?
Ivan: Sicuramente la mia è una comicità baraminosa, fatta di tante lastre scure che sovrapponendosi creano luce. Poi è forumana: pensata quasi esclusivamente per esseri umani. Difficilmente ho fatto ridere vegetali o minerali, alcune volte (ma rare) animali, soprattutto di piccola taglia. Penso sia anche gomunativa, come quando ti rendi conto che la vita non ti soddisfa, lasci tutto e parti per un lungo viaggio senza ritorno, ma appena arrivato dall’altra parte del mondo hai paura di aver lasciato una storia d’amore aperta, quindi in fretta e furia prendi il primo volo intercontinentale, torni a casa, ti accorgi che la storia d’amore era chiusa, ma ti senti stanco e per pigrizia rimani nella tua vita sciatta e inutile. In ultimo è una comicità accialina, perché di sicuro non cambierà il mondo, ma se il mondo continuerà a cambiare (come ha fatto negli ultimi miliardi di anni) ci permetterà di affrontarlo senza troppe paturnie.
Toglici una curiosità. La comicità aiuta a vivere meglio? Se sì, perché? Se no, perché?
Ivan: Meglio di cosa? La verità è che non esiste un meglio o un peggio e la comicità serve proprio per scoprirlo. Ci insegna che c’è qualcos’altro, di fianco, di lato, sopra o sotto a quello che vediamo. Da ragazzo scrivevo cose tristi e drammatiche, spesso non volevo leggerle nemmeno io, per non deprimermi. Poi, crescendo, il dramma è aumentato così tanto da sembrare inverosimile, quindi comico. La gente ride e io soffro, ecco il meccanismo. La comicità è il passo falso della realtà, è il mondo che si svela inconsistente perché vittima del punto di vista. È lampante. Ogni cosa è illuminata, ma chi paga la bolletta? Perché se la pago io forse è meglio che qualcosa sia illuminato e qualcosa resti al buio. E in quel buio si annida il mistero, che è una componente fondamentale della scrittura e della vita.
Pensi sia utile frequentare un corso di scrittura comica? E perché proprio il vostro?
Ivan: questa la lascio rispondere a Claudio.